Caccia Dominioni

 

Luigi Caccia Dominioni, architetto, urbanista e designer, nasce a Milano il 7 dicembre 1913 e vi muore il 13 novembre 2016. Nel 1936 si laurea in Architettura al Politecnico di Milano, dove, per sua espressa dichiarazione: “… si imparava a far progetti, si capiva se avevamo una vocazione, se la nostra era una missione”.

 

Lavora fra l’altro a edifici di Milano e provincia, fra i quali emerge il Quartiere di Milano San Felice. Il moderno quartiere, situato a pochi chilometri a est di Milano, nasce da un'idea dell'ingegner Giorgio Pedroni, che lo realizzò in collaborazione con gli architetti Luigi Caccia Dominioni e Vico Magistretti. A finanziarlo e realizzarlo fu l’Impresa costruzioni Bonomi e Comolli di Anna Bonomi Bolchini tra il 1965 e il 1969. L’idea di Giorgio Pedroni per quegli anni fu rivoluzionaria: in Italia non si era ancora sviluppato il concetto di centro residenziale.

 

Il quartiere si estende sui Comuni di Segrate, Peschiera Borromeo e Pioltello. Prima della costruzione del quartiere, nel territorio di Segrate si trovava la Cascina San Felice che derivava il suo nome dalla presenza lungo la via consolare detta strada magistra mediolanensis di un’edicola dedicata appunto a San Felice (così almeno è attestato negli atti di una visita di Carlo Borromeo nel 1566).

 

Luigi Caccia Dominioni ha dichiarato: “Io sono un piantista: nel senso che sulla pianta ci sono, ci muoio, sia che si tratti di un palazzo per uffici che di un appartamento di sessanta metri quadri… Sono architetto sino in fondo e trovo l'urbanistica ovunque… In realtà l'appartamento è una microcittà, con i suoi percorsi, i suoi vincoli, gli spazi sociali e quelli privati. Mi sono sempre appassionato agli spazi piccoli e ho sempre dato l'anima per farli sembrare più grandi, ad esempio allungando i percorsi, contrariamente a una certa tendenza che tende a ridurli. L'ingresso diretto in soggiorno non lo amo perché non riserva sorprese, mentre il compito dell'architetto, io credo, è anche quello di suscitare un succedersi di emozioni… I miei ingressi, le mie scale, persino i mobili sono soluzioni urbanistiche”.

 

Le sue case le ha dunque costruite dall’interno e sono state fatte perché la gente, dentro, ci vivesse bene. Con questo spirito affrontò il progetto di Milano San Felice.

 

In un’intervista rilasciata al nostro giornalino “7 giorni a San Felice” del 23 dicembre 1983, afferma: “Ritengo che San Felice sia la più bella realizzazione residenziale di grandi dimensioni a livello europeo”. E spiega: “Una delle scelte fondamentali è stata quella di studiare delle case uniformi nello stile, ma differenziate una dall'altra sia architettonicamente, sia come posizione nelle strade e nei golfi, in modo che ognuno avesse in questo nuovo villaggio la possibilità di riconoscere la sua casa. Altro elemento di spicco, secondo me, sono le strade simpatiche che hanno un andamento tortuoso sia per differenziarle dalle strade squadrate della città sia per permettere la formazione dei golfi (i giardini), altro elemento molto interessante e riuscito. Le case si aprono su questi golfi verdi, sui giochi dei bambini ed il passeggio dei grandi…”.

 

Purtroppo il costruttore non realizzò l’intero progetto. Spiega l’architetto Caccia Dominioni: “Avevamo inserito anche un sistema di collegamento tra i golfi ed i panettoni (i prati sopra i negozi) e da questi con il centro commerciale. Infatti non sono stati realizzati cinque o sei ponti che, scavalcando l'anulare, mettevano in comunicazione i golfi con i panettoni”. E nemmeno quello che dal centro commerciale avrebbe portato sui panettoni.

 

C’era però, secondo l’architetto Caccia Dominioni, una preoccupazione: “Un’esperienza nuova, con un'uniformità di tessuto sociale che si sarebbe creato, poteva essere pericolosa. Era un'enorme differenza rispetto al tessuto composito che esiste in una città o in un paese tradizionale. Abbiamo cercato di ovviare a tale pericolo costruendo appartamenti di varia misura in modo da attirare famiglie di ceti diversi e previsto insediamenti per attività commerciali, artigiane ed uffici per rompere la possibile uniformità. Credo che oggi la situazione si sia stabilizzata e non si sia verificata quella chiusura al mondo esterno che temevamo”.

 

La nuova idea urbanistica che si voleva sviluppare prevedeva un quartiere autonomo, completo di infrastrutture e di opere urbanistiche, le cui strade fossero “cieche” per non creare flussi di traffico troppo importanti, dove il centro avrebbe dovuto raccogliere tutti i servizi per consentirgli una notevole autonomia e vitalità, dove le strade furono creare per il transito delle macchine, mentre i pedoni avrebbero potuto passeggiare nei giardini, subito chiamati “golfi”, senza rischi. Da qui la mancanza di marciapiedi. Il centro residenziale in questo modo avrebbe goduto di tranquillità, comodità e bellezza.

 

Il progetto si sviluppava su circa 900.000 mq, di cui circa 700.000 di prati e campi gioco con oltre 30.000 alberi di cui molti ad alto fusto. Gli elementi architettonici del progetto prevedevano tre varianti: palazzine a schiera da due e sei piani con i tetti in rame, torri di otto-nove piani e ville di due piani. Tutti furono progettati con caratteristiche, finiture e impianti di alta qualità. In più gli appartamenti erano proposti con cucine e bagni arredati (comprensivi di lavabiancheria e asciugabiancheria della Zoppas), e armadi a muro. Niente boiler o caldaie negli appartamenti, tutti alimentati da una Centrale termica dotata di tre caldaie e collocata al confine del quartiere con accesso indipendente, per evitare il transito dei mezzi per il rifornimento del combustibile per le strade del quartiere.

 

Milano San Felice è un’altra vita!”, recitava una pubblicità. E noi lo crediamo ancora.





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